Dieci anni fa, il 5 giugno 2010, Francesca Schiavone ha scritto la storia del tennis italiano vincendo gli Open di Francia, seconda prova del Grande Slam, meglio conosciuto come Roland Garros, dal nome dello stadio dedicato al ricordo del grande aviatore francese. Nella partita finale Francesca, soprannominata nel circuito la “Leonessa”, ha avuto ragione della muscolosa australiana Stosur, dotata di colpi particolarmente pesanti e di un gioco caratterizzato da un palleggio veloce, un dritto potente, un rovescio bimane, ma anche da una scarsa varietà. Francesca invece no, lei ha uno splendido rovescio ad una mano, un tocco delizioso, un gioco di gambe rapido ed una fantasia straripante. Durante la finale Francesca ha usato tutte le sue armi, convenzionali e non, per vincere la partita più difficile contro una avversaria che l’aveva sconfitta, solo nel 2009, ben 3 volte e che la batterà spesso anche dopo questa storica partita.
Immaginatevi Ulisse che per uscire dalla grotta di Ciclope accecato si aggrappa alla pancia di una capra, sfuggendo alla forza bruta e salvando la propria vita. Così Francesca si è nascosta dietro variazioni di velocità, di altezza, dietro attacchi in controtempo e ha fatto impazzire la Stosur che, nella foga di spingere per spezzare l’esile corpo dell’avversaria, ha finito per sbagliare i colpi decisivi e cadere nella rete tessuta dall’italiana. Il penultimo punto della finale è da manuale del Tennis, con la t maiuscola: risposta d’incontro di rovescio su un buon servizio, diritto lungolinea profondo per spingere l’avversaria lontano, diritto incrociato per muoverla dall’altra parte, attacco in controtempo con volée smorzata sempre incrociata dove la Stosur, partendo dalle tribune dove era stata mandata dal colpo precedente, non può arrivarci. È il colpo decisivo che, come il salto di Armstrong dalla scaletta alla conquista della Luna, ha permesso a Francesca Schiavone di lasciare la sua impronta indelebile: la prima donna italiana a vincere una prova del Grande Slam. Il successivo punto, il match point, Francesca lo vince accettando la sfida sulla diagonale del rovescio dove, grazie alla tecnica ad una mano, riesce a trovare angoli molto più profondi della sua avversaria che, come un robot mal programmato, ripete in modo forsennato il meccanismo a due mani fino ad incepparsi, steccando una palla che vola in tribuna e mette fine alla partita. Francesca ha iniziato il torneo come testa di serie n°17; la corsa alla finale è stata complicata fin dal primo turno in cui ha dovuto lottare sotto di un break nel terzo set contro la russa Kulikova mentre successivamente ha superato le top ten Li Na, che la sconfiggerà in finale sempre a Parigi l’anno successivo, e Caroline Wozniacki, allora n°3 del mondo.
Francesca ha dimostrato carattere, una grande voglia di trionfare e tanta qualità che le hanno permesso di vincere il suo torneo più importante alla soglia dei 30 anni, età in cui la maggior parte dei professionisti pensa al ritiro. Il suo lungo percorso di crescita è passato anche dall’accademia milanese “Vavassori” dove Francesca conosce, quasi per caso nei primi anni 2000, Daniel Panajotti, il suo mentore con cui inizierà un fecondo rapporto professionale che la trasformerà da brutto anatraccolo in splendido cigno con un servizio pesante, una tattica sopraffina ed un diritto telecomandato. Prima della storica vittoria Francesca aveva brillato insieme alla generazione di “fenomene” (Pennetta, Errani, Vinci) vincendo per 2 volte, tra il 2006 ed il 2009, la “Fed Cup”, la competizione femminile a squadre, analoga alla Coppa Davis del circuito maschile. Sebbene si trattasse di vittorie importanti, né Francesca né il movimento femminile avevano ricevuto la ribalta che si meritavano ed è proprio il successo di Parigi che ci ha fatto aprire gli occhi su 4 gemme che hanno brillato intensamente seppur con destini molto diversi. Oltre a Francesca anche Flavia Pennetta è riuscita nell’impresa di vincere un torneo del Grande Slam, a New York nel 2015, sconfiggendo in finale l’amica Roberta Vinci e con un colpo di scena degno della Commedia all’italiana ha annunciato, proprio nel discorso di ringraziamento subito dopo la vittoria, il suo ritiro.
Roberta Vinci ha perso quella storica finale, ma è entrata nella storia per aver sconfitto, nello stesso torneo, dopo una partita memorabile, la n.1 del mondo Serena Williams, impedendole di fatto di realizzare il Grande Slam davanti al suo pubblico. Sara Errani, infine, non ha vinto tornei dello Slam, ma ci è arrivata vicinissimo con la finale del 2012, completando un triennio 2010-2012 in cui a Parigi la lingua ufficiale nel circuito femminile era senza dubbio l’italiano, con 3 finali consecutive che hanno visto impegnate giocatrici italiane. Questi risultati, ottenuti in meno di un decennio, si stagliano con nitidezza, sormontando ancora oggi, nonostante i recenti exploit dei nostri Berrettini e Fognini, il circuito maschile italiano che non si è mai veramente ripreso dai dorati anni ’70 con il successo al Roland Garros di Panatta e la vittoria della Coppa Davis. 4 Fed Cup, 2 tornei del Grande Slam, numerose vittorie a cui si aggiungono finali e semifinali prestigiose sono un tesoro da custodire gelosamente, un terreno fecondo da coltivare, un risultato che è stato possibile grazie ad una grande squadra che ha trascinato un intero movimento, senza cadere nei personalismi che, a mio parere, sono uno dei freni, se non il principale, alla crescita del circuito maschile.
Probabilmente questa consapevolezza di essere stata parte di qualcosa di importante ha spinto Francesca ad intraprendere l’attività di coach, attività che ha dovuto, purtroppo, recentemente sospendere per combattere una partita molto difficile contro una grave malattia. La “Leonessa”, come ci saremmo aspettati, non si è fatta intimorire ed ha affrontato la sfida con tutta la forza di cui disponeva, non temendo di esporre la propria immagine in pubblico. Credo che la storia di Francesca sia un esempio vivente e straordinario di cosa è capace l’essere umano quando ha passione ed ama quello che fa, quando non bada troppo ai calcoli, ai programmi, al controllo ma vive il momento lasciando comandare l’istinto, l’intelligenza, il cuore.
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